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L'ombra è l'opposto del sole, ma si nutre di esso.
Un cielo grigio non genera ombre: nessun contrasto, nessun pensiero.


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giovedì 21 maggio 2015

Una poesia perduta di Ippolito Nievo

          
forse, nel mattino,
ecco che si rompe i silenzio,
battito d'ali, fronda nel vento;
immoto stupore, ogni volta...

 
«Siamo perfettamente d’accordo con Lei per rapporto alla Beatrice Cenci del Guerrazzi; ma l’autore è proscritto, e i suoi versi, d’altronde bellissimi, nel nostro Giornale, sembrerebbero per avventura più presto una satira contro l’autore, che una critica dell’opera.» Con queste parole il sig. Klink il 24 novembre 1854 rifiutava la pubblicazione sulla prestigiosa rivista triestina «Letture di famiglia» di una poesia di Ippolito Nievo, ispirata a Beatrice Cenci, truculento romanzo storico di Francesco Domenico Guerrazzi (1804-1873). Nievo propose la stessa poesia a Camillo Giussani (1825-1907) che era editore e direttore il giornale «L’Alchimista friulano». La pubblicazione era prevista nel numero del 10 dicembre 1854; ma il giornale fu censurato e sostituito con un altro, ridotto, che portava questa dicitura: «Il foglio d’oggi era già stampato, ma per circostanze indipendenti dalla sua volontà la Redazione non poté pubblicarlo: supplisce pertanto col presente mezzo foglio di stampa». Al posto della poesia di Nievo fu pubblicata Avemaria della sera, scritta dall’abate Leandro Tallandini. Il manoscritto della poesia Beatrice Cenci non fu restituito, oppure per altri motivi andò perduto (smarrimento postale? censura?) e di questa poesia di Nievo non si conosce neppure il titolo esatto.
Della censura, Nievo si lamentava sovente. Scriveva, il 20 ottobre 1858, da Regoledo a Livia di Colloredo Altieri: «Mi chiede di nuove pubblicazioni che possano interessare? Mio Dio! Le migliori ci sono proibite, come le opere postume di Lamennais, la Fides di Guerrazzi, il Mario di Niccolini, e l’Epistolario del Giusti che uscirà fra poco da Lemonier. Se può beccare qualche d’una fra queste, beata lei!…»          
A gennaio 1849 Ippolito Nievo raggiunge la Toscana, passando per Ferrara e per Bologna. Si ferma prima a Firenze, poi va a Pisa.
Mancano documenti, ma sembra che sia stato anche a Livorno e lì abbia preso parte ai moti, ispirati da Francesco Domenico Guerrazzi, con cui il 10 e 11 maggio 1849 si tentò di impedire il ritorno via mare del Granduca di Toscana, sostenuto dalle armi austriache. Di questa sua presenza a Livorno, Nievo forse testimonia nei seguenti versi della sua poesia Il Mare. Episodi, pubblicata nell’opuscolo Versi, del 1855:
               
E anch’io meschino trovator di rime
Né miei più fanciulleschi anni, quand’era
Nuovo a tutto il pensiero, e la speranza
Vece tenea della lontana fede
Ond’oggi faccio schermo alle presenti
Viltadi, anch’io sulle deserte arene
Del Tirreno discesi, e popolai
De’ miei sogni quell’onde, ove le prime
Fenicie prore arditamente in traccia
Correvan di nuova terra.
 
Tornato al potere il Granduca, Ippolito Nievo progetta di imbarcarsi per la Corsica, di lì raggiungere Civitavecchia e puntare quindi su Roma, per dare il suo contributo alla difesa della morente Repubblica Romana; ma un vecchio amico di famiglia lo dissuade, dicendogli che è tanto giovane (ha da pochi mesi compiuto diciotto anni) e che in futuro non gli mancherà loccasione di battersi per una Italia unita.           
Francesco Domenico Guerrazzi, che per un anno aveva dominato con pugno dittatoriale la Toscana, all’interno di un triunvirato, fu processato e condannato a quindici anni di reclusione.
Ebbe poi la pena commutata con l’esilio in Corsica. Si fermò a Bastia ed abitò in una villa arrampicata in cima ad un colle, contornata da ulivi, non lontana da una antica e diroccata torre genovese. Di lì poteva godere un panorama immenso e intravedere, forse, la costa della perduta Toscana. In questa villa, che chiamò “Bellacanzone”, perchè lì arrivava il lungo respiro del mare, portò a termine il romanzo Beatrice Cenci che, pubblicato nel 1853, subì violenti attacchi, soprattutto da parte degli ambienti clericali più retrogradi. Nella ristampa Guerrazzi aggiunse una prefazione con documenti inediti che provavano la veridicità dei fatti da lui narrati.
Rimase in Corsica tre anni, dal 1853 al 1856. Dalla villa “Bellacanzone” fuggì una notte e s’imbarcò su un vecchio veliero che aveva gettato l’ancora al pontile di legno della spiaggia di Toga, presso Bastia.
In questa villa, alla fine dell’Ottocento si trasferì con la famiglia il pioniere inglese in Corsica Arthur Castell Southwell (1857-1910) che era agente marittimo e dei Lloyd, commerciante di cedri canditi e di acido gallico, proprietario di miniere in Corsica e vice-console onorario inglese di Bastia. Sua figlia Edith Southwell (1888-1936), interprete raffinata dell’anima profonda dell’isola, nel 1933 pubblicò i Canti popolari corsi. Dopo il 1920 Edith abitò a “Bellacanzone” solo nei mesi estivi poiché, avendo sposato il pittore, incisore e ceramista italiano Guido Colucci (1877-1949), nella restante parte dell’anno risiedeva a Firenze o a Roma. Pubblichiamo un’immagine un po’ sfocata di questa villa superba, tratta da una cartolina degli anni Trenta che rappresenta la spiaggia di Toga e la verde collina di Minelli.
Beatrice Cenci dalla rete

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